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Lettera agli intellettuali

"Egregi Signori,
non voglio proporvi una questione teorica e astratta o un confronto tra le diverse morali che qua e là sono fiorite un po' dappertutto nel tempo. Ormai sappiamo per certo che non è mai stato possibile diffondere "la morale" su tutta la terra, perché la difesa di sé, del proprio stato di vita, del gruppo sociale cui si appartiene hanno giustificato nel passato -ma è così anche oggi- una "logica" particolare (una morale specifica, appunto) al riparo della quale si è soliti "comprendere" ogni stortura e persino i fatti più criminali.
Anche se inevitabilmente il nostro lavoro di intellettuali ha un risvolto astratto, nel senso che deve trattare e considerare le idee, le ipotesi e i progetti per un domani migliore, questa sera con voi io voglio però mettere a fuoco una questione molto pratica e concreta, che non è figlia né dei nostri desideri, né dei nostri sentimenti soltanto ma, anzi, è persino un po' neutra e arida in sé, come lo possono essere i dati di una qualsiasi ricerca scientifica, quando vengono allineati -oggettivi- per essere valutati dalla ragione, che prima è interessata a capire e poi a indicare precisi e ben definiti interventi operativi.
In questa occasione non voglio nuovamente addentrarmi in una disquisizione sul perché nei secoli abbiamo interpretato in un certo modo i diversi accadimenti nel mondo, né mi interessa rimettere a confronto le diverse soluzioni fino a ora ipotizzate per affrontare i fatti e le questioni di fondo, nel tentativo di attenuarne gli effetti più gravi e immorali per la vita dei popoli. Questa analisi è sempre all'ordine del giorno per tutti gli osservatori più seri e impegnati in ogni paese, dappertutto, e quindi ci appartiene ed è implicita in ciascuno di noi anche in questa serata.
La mia attenzione ora vuole invece rivolgersi essenzialmente ad altro: io voglio capire se davvero non c'è proprio niente da fare per cui le cose, quindi, andranno sempre così (ma allora nel nostro futuro ci sarà sempre ingiustizia, sfruttamento e guerra), oppure se non sia invece possibile costruire un mondo finalmente liberato dalla violenza e affidato al lavoro intelligente e libero di ciascuno.
Si tratta -e mi rendo ben conto di ciò che sto dicendo!- di creare per ogni uomo la condizione che gli permetta la piena e completa realizzazione di se stesso, solo ed esclusivamente attraverso il valore e la forza dei suoi talenti e delle sue attitudini personali e, in cambio, di riconoscergli e mettere a sua disposizione tutto ciò che può rendergli la vita più evoluta, più dignitosa e civile.

Cioè, si tratta di mirare a una terra che sia decontaminata da ogni tipo di veleno, alla quale sia data finalmente un'etica non corrotta e, quindi, nella condizione di potere sviluppare società libere e a dimensione umana.
Continuare a ripetere che il male esiste, che l'uomo è fallibile e che la sofferenza e il dolore sono parte connaturata con la nostra esistenza, non può costituire l'alibi per non affrontare direttamente e con determinazione estrema la questione di fondo, che consiste nel togliere e nel far venir meno le ragioni e le cause strutturali che danno poi origine e alimentano l'egoismo e la violenza sulla faccia della terra e, quindi, condizionano la vita di tutti.
Noi oggi siamo ciò che la storia passata ha voluto che fossimo, nel bene e nel male. E raramente si ricorda, a questo proposito, che ciascun essere umano è naturalmente portatore di attitudini e di talento, di cui ancora non si è in grado di valutare quali possano essere la ricchezza e le potenzialità. E però fino ad oggi il pensiero, la cultura, il sapere, l'arte… ma anche la violenza, la guerra, il sangue versato… tutto questo è stato il frutto di una realtà oggettiva ben precisa e concreta e, quindi, di una storia che ha segnato e condizionato in forme molto ben definite l'evolversi della mente e dello spirito umano.
Una realtà strutturale diversa avrebbe sicuramente prodotto nei secoli un'altra arte, un'altra cultura, un altro pensiero, cioè un altro uomo. Invece, un patrimonio immenso di potenzialità umana, di attitudini non valorizzate, di pensiero impedito, non è potuto fiorire sulla faccia della terra, si è perso per sempre. E così un essere ben diverso da quello che avrebbe potuto diventare ha continuato a guardare fino a oggi la nascita e il tramonto del sole: alienato, ciascuno si è dato da fare per cercare di vivere nel migliore dei modi possibili, condannato a una continua battaglia contro le avversità quotidiane incontrate sul suo cammino.
Diventa ora fondamentale rendersi conto che solo attraverso la lotta per superare e vincere lo stato oggettivo di alienazione che riguarda tutti, cioè solo attraverso il lavoro per cambiare l'assetto economico e normativo del mondo, riusciremo a creare le condizioni perché fiorisca finalmente la autentica umanità su questa terra.
Noi, uomini di cultura, dobbiamo da subito pensare proprio a questo: dobbiamo guardare a un mondo diverso, non più quello basato sul meccanismo del denaro, che di necessità alimenta e richiede e impone la lotta per la sopravvivenza, ma a un mondo nuovo fondato sul lavoro, che sia capace di esprimere un essere umano di identità mai vista prima.


Questa è, dunque, la grande questione: è possibile sviluppare un modello di società che permetta di lavorare e produrre tutto ciò che è indispensabile, e non ciò che è superfluo e inutile!, per il benessere privato e collettivo? Da un punto di vista tecnico questo è già oggi nell'ordine delle reali e concrete possibilità umane -io ne sono convinto fermamente!- e allora è proprio a questo compito che da subito, con lucida determinazione, dovrebbe mirare e concentrarsi l'attività e l'impegno di tutti coloro che pensano a un altro mondo possibile.
Io sono convinto che è giunto il grande momento: basta impiegare l'esistenza, di fatto sacrificarla, per rincorrere i giochi del denaro, per porre rimedio o tentare di attenuare le ferite che da quello spietato meccanismo vengono inferte al corpo delle società!
Comunque è fuori dubbio che è inevitabile "sporcarsi le mani" con tutto ciò che riguarda la vita reale e concreta di ogni giorno, denaro incluso. E' non solo giusto, ma diventa necessario e doveroso che ciascuno sappia dove sta andando il mondo attuale e, di conseguenza, dia il suo apporto concreto e il suo contributo per la soluzione dei problemi più impellenti per il bene comune. Questa è la politica, quando è responsabile e dignitosa: entrare nel merito delle cose, non "parlare d'altro" e sfuggire così a ciò che urge ed è contingente, proprio mentre "il sistema" continua a produrre ovunque le tossine che avvelenano il mondo e corrompono la morale e l'etica.
Questo, però, nel modo più assoluto non deve significare perdere di vista l'obiettivo più vero, che è quello di cambiare la sostanza, che è quello di eliminare il quadro corrotto e irrazionale delle cose così come oggi palesemente appaiono agli occhi di tutti, sostituendolo con una nuova realtà che sia basata sulla intelligenza e sulla umanità.
Anche perché non c'è via di scampo: o si riuscirà in questa impresa o non ci sarà futuro per nessuno.
La scelta vera, dunque, è quella di impegnare tutto il nostro sapere per realizzare un unico grande progetto, e per questo dobbiamo lavorare sul terreno scelto da noi e non, invece, continuare a percorrere le strade imposte dagli altri, perché dobbiamo essere consapevoli che il meccanismo non crollerà in seguito ad aggressione dall'esterno ma quando, gradualmente, non verrà più adottato dai popoli.
E' da qui la necessità di dare inizio a un lavoro lucido e cosciente per capovolgere l'atteggiamento dell'uomo nei confronti di se stesso, dei suoi simili e della realtà naturale nel suo insieme.



Cultura e politica devono lavorare in strettissima connessione per individuare le cause della alienazione esistenziale e nello stesso tempo per costruire la casa per l'uomo nuovo.
Il tempo necessario sarà lungo e il compito assai complesso e difficile. E' certo, comunque, che non possiamo aspettare oltre, perché l'emergenza incombe e la situazione rischia sempre più di sfuggire al controllo di chiunque.
La visione finale sulla quale abbastanza facilmente tutti si può convenire esiste già, il progetto di massima esiste: si tratta, ora, di passare alla fase esecutiva attraverso precisi, concreti e condivisi interventi a ogni livello e in ogni paese del mondo. E proprio questo deve diventare l'obiettivo primo per tutti coloro che sono interessati a migliorare e a riformare la realtà: non tante riforme come qua e là capita e avviene, ma una unica Riforma articolata e condivisa, e che deve valere per tutti.
Per poter guardare a un futuro più sereno e sicuro è necessario, infatti, creare una Casa nuova, strutture e regole nuove, una organizzazione sociale nuova entro la quale la violenza e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo siano banditi, esclusi e resi inutili agli occhi di tutti perché, non dando vantaggi di nessun tipo, risultano senza senso; una realtà sociale entro la quale a ognuno, invece, risulti vantaggioso, utile e conveniente riuscire a dare un apporto di lavoro e di attività per lo sviluppo sempre più articolato evoluto e civile del comune convivere.
Questa nuova realtà sociale, questa nuova città dell'uomo potrà sorgere e svilupparsi solo all'interno di una cornice e di una logica ben precisa, che è quella di rendere superflua, perché non più necessaria, la lotta per la sopravvivenza che, in ultima analisi, quasi sempre continua a essere "la ragione motivante" che sta dietro l'esplodere della violenza all'interno delle comunità umane. Questa condizione, però, può essere acquisita solo se la struttura del mondo cambia radicalmente rispetto a come si è sviluppata nei secoli. Ed è inevitabile, allora, che si deve pensare a una nuova economia, a una nuova legislazione, a un sistema di sicurezza e di controllo sociale nuovo, condiviso e rispettato da tutti, proprio perché ritenuto indispensabile e morale.
Ed è a questo immenso mondo di novità che deve guardare la nostra ragione. Non dobbiamo più continuare a riflettere solo ed esclusivamente su ciò che è stato o sulla realtà presente ritenuta come immutabile nelle sue ragioni di fondo. Noi, soprattutto, dobbiamo guardare avanti, su ciò che sarà e su ciò che potrà essere!

Sappiamo bene che fino a oggi si è succeduta una storia di oppressione, ingiustizie, squilibri, violenza. Ma proprio perché tutto questo continua a ripetersi e lo si dà quasi per scontato, per interrompere finalmente questa catena di misfatti che da sempre insanguina la terra, noi oggi dobbiamo imparare a guardare con occhi nuovi alle dimensioni globali dei problemi e, attraverso la nostra ricerca, dobbiamo aprire spazi nuovi affinché i popoli con le loro storie e gli Stati con le loro ragioni possano incontrarsi in contaminazione reciproca e positiva per tutti. Solo così potremo garantire un domani all'uomo.
Questo è il compito nuovo della cultura e della politica: non mettere le pezze alle ferite più evidenti, ma costruire una nuova realtà e dare un futuro al mondo.
Ma come fare?
Prima di tutto bisogna svegliarsi, bisogna uscir fuori dal torpore che ci impedisce di vedere e di capire fino in fondo le ragioni vere del perché le cose accadono sempre in un certo modo e finiscono per avere sempre, prima o poi, un certo esito…
Infatti, non sarà mai possibile debellare la violenza e il male sulla terra fino a quando continuerà a perdurare, dietro le forme più diverse e nelle situazioni più disparate, la fonte originaria dalla quale trae alimento senza sosta la infezione del mondo e la patologia dei rapporti umani.
Quando noi temiamo -questo è il fatto!- che possano venir meno le condizioni oggettive e materiali della nostra sicurezza e della nostra esistenza, o delle nostre posizioni di privilegio, allora la paura e l'angoscia, o la voglia di primeggiare, ci spingono ad agire, a fare qualcosa, e così diamo il via libera a tutte le trame di violenza, di furbizia o di illegalità che la nostra mente è in grado di escogitare.
Ma domandiamoci: se da questo atteggiamento perverso nessuno potesse ricavare alcun tipo di vantaggio pratico, per quale motivo dovremmo vivere nel sospetto e tramare contro i nostri simili?
Non è certo difficile per noi concordare che la violenza non è solo il sangue versato o il sopruso e l'offesa contro le persone, o l'esplosione che distrugge le torri o le metropolitane nelle città, o gli aerei nel cielo, o le navi sui mari, o avvelena l'acqua da bere o l'aria da respirare…
No, tutto questo è ovvio ed evidente. Però, è terribile dirlo, questo non è tutto!
C'è ancora dell'altro, c'è qualcosa che non ci abbandona mai e che si insinua continuamente in noi durante tutte le ore delle nostre giornate, anche quando non ne siamo consapevoli.
Infatti, fino a quando un padre, preoccupato per la sorte del proprio figlio, sarà costretto a lottare per procurargli le condizioni materiali di vita migliori possibili (e questo oggi avviene in un certo modo e a tutti appare un fatto naturale e dovuto), allora quel uomo -è un punto sul quale abitualmente si preferisce sorvolare!- non sta compiendo unicamente ed esclusivamente un proprio dovere ma, nello stesso tempo sta anche compiendo azione di violenza, in genere senza che se ne renda conto e magari al di là e al di fuori di qualsiasi suo ben preciso e finalizzato intendimento.
Fino a quando un uomo di stato sarà costretto ad agire e a prendere delle decisioni con l'intento di far fronte al bisogno di pane e sicurezza dei propri concittadini -e questo oggi avviene in un certo modo, che è chiamato politica- allora bisogna fare chiarezza e dimostrare a tutti che quel uomo potente non sta solo operando per uno specifico "bene comune" ma, nello stesso tempo, sta compiendo azione di violenza (e tante volte lo sa, eppure continua a operare nella sua strategia perché lo ritiene indispensabile e "giusto").
Dobbiamo sapere che i buoni propositi o le buone intenzioni del singolo padre, o del capo politico o dei potenti della terra non bastano a giustificare le opere, i fatti concreti, le scelte cattive di cui sono responsabili.
Essere coscienti oppure no della implicazione pubblica e diffusa che il nostro agire ha su ciò che sta attorno, non fa venir meno il peso negativo e la gravità di ciò che concretamente e quotidianamente con il nostro contributo si evolve e si assesta nella realtà più grande.
Bisogna capire che la febbre non è la causa, ma l'effetto della malattia, ed è a quella che bisogna risalire e rivolgere la nostra attenzione.
Fino a oggi ci siamo comportati come gli antichi sciamani e abbiamo cercato di curare e abbassare la temperatura quando è alta, ma ancora non siamo stati capaci di individuare bene il motivo per cui ci si ammala. Continuiamo con sacrosanta indignazione a parlare di ingiustizia e dolore diffuso, di cattiveria e perversità dell'animo umano, ma non riusciamo a dare una risposta chiara, precisa e concreta alla domanda di fondo più ovvia e semplice: perché la violenza?
Da dove ha origine la aggressività irrazionale del comportamento umano?
Ma è proprio inevitabile che, una volta acquisita per tutti la garanzia di una vita evoluta e civile, gli individui e i popoli debbano provare timore oppure sentire spinte di aggressione nei confronti dei propri simili?


Sono le domande più elementari alle quali, però, non si è voluto fino a oggi dare una risposta razionale e concreta.
Per incominciare a entrare nel merito della questione dobbiamo fissare alcuni punti cardine e ragionare così: ogni uomo oggi, siamo nel duemila, può essere contemporaneamente scienziato e contadino, capace di usare la ragione e in grado di vivere in equilibrio con il ritmo e il respiro della terra (è il compito della nuova didattica e della nuova pedagogia educare in questa ottica le generazioni future!)
Tutti hanno bisogno di avere una casa, di avere vestiti e cibo a sufficienza per non essere obbligati a ricorrere alla legge animale di natura, che giustifica qualsiasi mezzo per garantirsi la sopravvivenza. Quindi, un orto e un pollaio per tutti, o comunque accessibili a tutti: il primo può avere qualsiasi dimensione e sarà bene che sia affidato alle cure quotidiane dei singoli, mentre il secondo dovrà essere dislocato probabilmente alla periferia dei centri abitati ma, in ogni caso, sarà sempre a disposizione della intera comunità.
Comunque dovrà sempre essere la base della società, cioè nuclei di cittadini informati, liberi e capillarmente organizzati a stabilire il tutto: dove e quali fabbriche installare e come gestirle; dove e in che modo sviluppare le scuole, le botteghe, gli ospedali… cioè la struttura civile della realtà nuova che si intende costruire per il futuro.
La regola e la norma di fondo, che in nessun caso potrà mai essere trasgredita, è che la terra appartiene a tutti per cui, per vivere in sicurezza e dignità dovremo imparare a chiederle solo ciò che è necessario, e non il superfluo come avviene oggi.
C'è posto per tutti sulla zattera della vita, a patto che non ci sia qualcuno che pretenda di avere più spazio e privilegi per sé e, quindi, si senta autorizzato a gettare in acqua quelli che lo disturbano o gli fanno ombra.
C'è posto per tutti e quindi con ogni mezzo -perché noi sappiamo che persino la forza può essere legittima e morale quando è indispensabile per impedire l'assassinio e il male!- bisogna rendere impossibile che qualcuno continui a esercitare violenza, perché allora il pericolo reale, questo è un fatto che deve diventare chiaro ed evidente a tutti, è che scoppi una zuffa tragica e la situazione sfugga di controllo e che tutti si vada a fondo.
Allora, non si tratta di continuare a ripetere i soliti auspici, cioè che è bene ed è meglio vivere in pace e che è male, invece, quando si alza la voce e si spintona chi ci sta a fianco.



Basta con i discorsi, basta con le parole! Bisogna operare concretamente nella direzione giusta, con rigore, e senza cedere alla tentazione dei compromessi sulla sostanza!
Bisogna che ciascuno impari e accetti di stare al suo posto, quello previsto dalle norme e dalle leggi che lui stesso pure deve contribuire a elaborare e a far rispettare, e così pian piano tutti si incominci a passarsi l'acqua e il pane e le medicine… (E questo ordine virtuoso, cioè la condizione perché a tutti sia permesso di accedere allo stato di libertà, dovrà essere garantito da un potere trasparente, inflessibile, morale, assolutamente svincolato delle visioni e dagli interessi di parte).
C'è posto per tutti, e ciascuno può e deve trovare le ragioni sue proprie per dare valore al tempo che la sorte gli ha concesso, così come la sua natura e le sue attitudini gli possono permettere e suggerire. Cioè deve poter vivere in libertà.
Allora, bisogna incominciare a smontare la piramide che oggi vede una grande base umana obbligata a vivere sotto il peso di coloro che stanno al di sopra, e la schiacciano, e dall'alto continuano a dominare il panorama, e ne godono i privilegi e i benefici.
Bisogna sviluppare in ciascuna persona la certezza che niente è eterno ma tutto è in divenire, e che per costruire il futuro servono la tolleranza, il pluralismo delle idee, le diversità, la ricchezza della ricerca scientifica e della libera espressione delle culture.
Se saremo capaci di togliere i veli sulla realtà, quelli che impediscono di comprendere come, in ogni paese e in ogni tempo, le tradizioni più chiuse, o le paure per ogni novità, o la fede in una religione dogmatica non sono altro che atteggiamenti utili per proteggere e conservare un assetto del mondo e un sistema di potere funzionali a chi sta bene (pochi), proprio perché si continua a sfruttare chi sta male (molti).
Se saremo capaci di far comprendere ai popoli che nessuno intende imporre dall'alto o dall'esterno una storia diversa rispetto a quella che autonomamente loro stessi vorranno darsi.
Se saremo capaci di dimostrare la origine storica, concreta, materiale e transeunte, cioè del tutto umana e terrena e non metafisica, delle verità di base sulle quali si fondano sia le società del benessere e dello spreco, sia le comunità preindustriali del terzo e quarto mondo (il ruolo della donna, quale scuola e quale educazione, la sostanziale parità di diritti e doveri, etc….) e se riusciremo a rendere chiaro ed evidente che queste verità da paese a paese sono certamente rappresentate in modo specifico e diverso tra di loro, e proprio per questo di fatto vengono usate e servono per trovare una "giustificazione" all'uso indiscriminato della violenza.


Se saremo capaci di garantire a tutti condizioni materiali di vita dignitosa e civile (potrà sembrare un paradosso, ma questo è il compito più facile da assolvere!)… solo allora avremo creato nel concreto la condizione per cui l'uomo non avrà più motivo di temere l'altro uomo. E perché una terra simile dovrebbe ancora essere sporcata dalla guerra e dal terrore?
Il male non ha un solo padre e una sola madre: è figlio di una storia complessa e dalle origini antiche e della quale nessuno può dirsi totalmente estraneo e immune.
Il nostro compito oggi è quello di capirla bene questa storia, interpretarla nei suoi passaggi e nei suoi dettagli concreti, e poi tentare di introdurre nelle diverse società elementi e fatti nuovi capaci poi di produrre risultati e sbocchi più avanzati.
Allora, noi dobbiamo lavorare perché nel mondo non ci siano più frontiere, perché si diffonda ovunque la democrazia capillare di base, perché la gestione della realtà sia affidata alla libera scelta dei popoli, perché il sapere diffuso possa permettere di programmare un domani sicuro per tutti, perché il controllo trasparente ma inflessibile della legalità sia affidato a un potere a sua volta trasparente e controllato dalla base.
Essenzialmente tutto questo significa che dobbiamo introdurre la logica e lo spirito della umanità, là dove fino ad oggi è stata vincente la logica del denaro e l'egemonia delle ricchezze materiali…"

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